"Figlio del demonio"

“Ezzelino da Romano. Storia e Leggenda”

 
Vissuto tra il 1194 e il 1259, Ezzelino era discendente di una famiglia tedesca che aveva seguito l’Imperatore Ottone III nelle sue spedizioni in Italia, ricevendone in cambio un piccolo feudo comprendente Onara noi pressi di Cittadella e Romano nei pressi di Bassano.

Ingiustamente dimenticato nei testi di storia, ebbe una parte notevole nelle vicende dell’Italia Nord-Orientale tanto da essere più volte ricordato da Dante nella sua “Commedia” e dall’Ariosto nel Furioso”. Piccolo di statura, dall’aspetto gracile, aveva una folta barba e i capelli rossi; si sposò tre volte ma non ebbe mai eredi, nè legittimi nè illegittimi. All’apice del suo potere raggiunse il titolo di Vicario Imperiale nella Marca Trevigiana di Federico II di Svevia, dominando Treviso, Vicenza, Padova, Verona, Rovigo e anche Ferrara, Mantova e seppur per un breve periodo Brescia. Fu sul punto di raccogliere sotto un unico dominio tutta l’Italia settentrionale come rappresentante dell’Imperatore, di cui sposò anche la figlia, Selvaggia. Ezzelino era un comandante abile, capace di ottenere vittorie militari rapide e decisive con coraggio ed astuzia in un periodo di convulse lotte politiche. Tenne il dominio di così vasti possedimenti con durezza, usando violenza, crudeltà e torture. Ma tali metodi erano tipici di quell’epoca, da cui non erano esenti neanche i suoi nemici.

Molte leggende attorniarono la sua figura, alimentate anche dalla Chiesa, che non poteva accettare un rappresentante di tale forza del partito ghibellino. Ad avallare tali dicerie erano poi anche le sue abitudini ed il suo esercito cosmopolita: si circondava di astrologi che consultava sistematicamente nelle sue schiere, accanto alle milizie pedemontane, allineava la cavalleria tedesca e gli arcieri saraceni di Lucera. Il Papa, Alessandro IV fu costretto, alla fine, ad indire una vera e propria crociata contro Ezzelino per liberare Padova, Vicenza e Treviso. Fu un signore del suo tempo, con tutte le contraddizioni proprie dell’epoca, destinato a soccombere nella impari lotta scatenata dalla forza emergente dei Comuni contro la vecchia nobiltà imperiale.

Mentre si preparava ad attaccare Milano fu tradito dal Marchese Pallavicino, il Vicario Imperiale nella marca dell’Oglio, che temeva tanto potere. Sorpreso dai Milanesi con tutto il suo esercito a Cassano d’Adda, fu sconfitto nello scontro e lui stesso ebbe una ferita ad un piede. Rifiutò le cure e alla testa delle sue truppe in disfatta si ritirò a Soncino, dove morì di cancrena all’età di 65 anni. Era il 1259.

Nove anni prima, nel 1250, era morto Federico II di Svevia, chiamato “Meraviglia del Mondo”. Curiosamente al funerale piansero anche i più accaniti nemici; il popolo ne celebrò la morte con imponenti feste.

La figura di Ezzelino III da Romano si confonde tra la storia e la leggenda. Nel profilo di un tiranno sanguinario, feroce e di una crudeltà senza pari. La leggenda era ben alimentata dalla Chiesa che cercava di distruggerne l’immagine, così come cercava di annientarne il potere: si raccontava che sua madre avesse ricevuto, mentre era incinta di lui, la visita del demonio, e per questo era conosciuto come il figlio del diavolo. Si diceva pure che avesse fatto tagliare la mano al suo barbiere perché gli tremava, e che avesse fatto uccidere sul posto il messaggero che gli portò la notizia di Padova caduta nelle mani dei crociati. Si diceva anche che, stanco di tutti i mendicanti che pullulavano in Padova avesse fatto spargere la voce che avrebbe dato da mangiare e da vestire a tutti in occasione del Natale, e che una volta entrati nel palazzo fece chiudere le porte alle loro spalle. Neppure uno si salvò. Certamente Ezzelino conquistò il potere e, soprattutto, lo mantenne con estrema durezza, non esitando ad usare anche la tortura per piegare i suoi nemici e certamente usò il terrore come arma psicologica; ma altrettanto certamente non raggiunse certi eccessi e non fù, in ciò, diverso dai suoi nemici. Basti ricordare che quando Padova fu “liberata” dai crociati, nel 1256, fu sottoposta a saccheggio per sei lunghi giorni durante i quali conobbe oltraggi ben superiori a quelli patiti ad opera di Ezzelino e di suo nipote Ansedisio. Si diceva pure che nella guerra contro Vicenza, avendo vinto una battaglia, avesse radunato i prigionieri e fatto cavare gli occhi a tutti meno che a uno, al quale fece amputare le mani prima di metterlo in testa alla fila perche guidasse a Vicenza questa tragica processione d’invalidi. Fece ciò per terrorizzare i cittadini e per caricare di un “peso morto” i difensori assediati. Colpì la fantasia popolare l’inutilità della missione di S. Antonio, il Santo taumaturgo, che invano cercò di far recedere Ezzelino dai suoi propositi di guerra e di conquiste. Questo fatto sembrò la conferma della natura demoniaca del tiranno.

La distruzione morale e fisica della figura di Ezzelino si estese anche alla sua famiglia, e quando egli morì a Soncino nel 1259, tutto l’odio accumulato passò a suo fratello Alberico e ai figli di questo. Quando fu preso il castello di Romano, nel 1260, Alberico fu legato per le caviglie ad un cavallo su cui erano stati stretti dei rami spinosi: quando il cavallo stramazzò al suolo, sfinito, di lui rimaneva ben poco. A rinfocolare tanto odio avevano contribuito le sue carceri: quando morì e furono aperte le “Ziglie” di Padova e la “Torre di Malta” di Cittadella, ne uscì un tragico fiume di uomini ridotti a larve da anni di privazioni, torture e indicibili sofferenze. Logico fu quindi il sentimento popolare che festeggiò la morte del “figlio del Demonio” con feste grandiose tra cui, come a Montagnana, primeggiavano i Palii.